La sostenibile leggerezza dell'arrampicare - Chapter 4 - The Ossola tales - Seconda parte
Alpi Lepontine
Pala di Gondo – via Icoss
Una proposta di arrampicata ed alcune riflessioni semi serie sulle esperienze personali in quel di Gondo
Parte Prima: La proposta di arrampicata
Notizia d’agenzia di fine agosto 1995:
Una cordata composta da due scalatori milanesi, Andrea Affaticati e Antonio castiglioni, ha aperto una nuova via sulla parete nord della Pala di Gondo, in Val Divedro. La salita è stata aperta dal basso, in due riprese, nell’agosto del 1994 e nell’agosto 1995.
Si sviluppa per 350 metri collegandosi alla parte alta della via Paleari-Rossi. Non sono disponibili ulteriori informazioni.
Notizia d’agenzia di settembre 2004:
Una cordata composta da due scalatori milanesi, Andrea Affaticati e Antonio Castiglioni (guarda che novità) nel mese di agosto e settembre, ha riattrezzato la via ICOSS sulla parete Nord della Pala di Gondo. La via era stata aperta nel 1994/95 casualmente dagli stessi arrampicatori.
Il duro lavoro in parete è durato 7 giorni non consecutivi, durante i quali sono stati aperti due nuovi tiri e (complice Massimo Malpezzi) è stato attrezzato un tiro iniziale che permette di arrampicare dalla base della parete senza affrontare la perigliosa risalita dello zoccolo.
La cordata Affaticati/Castiglioni, perfetta macchina da scalata omologata UIAA, risolveva 10 anni fa uno dei problemi arrampicatori più impegnativi del continente euroasiatico. L’itinerario, seguendo una logica perfetta, ovvio segno di una intuizione illuminata, corre tra placche a prima vista inscalabili collegando, con brevi tratti di arrampicata, uno spit all’altro, ops! Errore, con brevi tratti di artificiale le placche (tante) e fessure (poche) proteggibili in modo tradizionale.
10 anni dopo. La mitica cordata si ripresentava sul palcoscenico della Pala e, tra gli sguardi sbigottiti dei pochi climbers che vi arrampicano e dei tanti spettatori al secondo tornante, in un delirante crescendo degno delle migliori performances circensi, trasforma una grande via alpinistica irripetuta in una fantastica via moderna ancora da ripetere.
Prima di entrare nel vivo dell’argomento, passando dalla terza persona alla prima, consentitemi una breve premessa estremamente seriosa.
Oggi il mondo dell’arrampicata si è assuefatto ad una produzione di guide di arrampicata assolutamente orride (o sono le guide che si sono adattate ai climbers…?) . Compilation per compilatori di vie, brutti schemi, schizzi e diagrammi con numeri, tutte uguali, senza un briciolo di fantasia; pochi cenni storici, errori di valutazione, le vie più facili sono sempre liquidate con descrizioni tipo: muro a tacche poi facile placca, le vie più dure sono sempre le più belle della falesia. Boh?
Comunque, bando alle ciance e prontamente, immaginandomi un moderno compilatore di guide di ampia divulgazione, inizio, adeguandomi allo standard in vigore, con quelle simpatiche note che accompagnano oramai ogni descrizione delle zone o, come vengono oggi chiamate, siti di arrampicata.
Entriamo nel vivo dell’argomento.
Località e vie d’accesso.
Gondo – Val Divedro. 150 chilometri da Milano quasi tutti in autostrada. Portare la Carta d’Identità in quanto si attraversa il confine con la Svizzera, cosa che è sempre una seria faccenda.
Gondo è un ameno e ridente paesino costituito da: la dogana e due distributori di benzina. Gli abitanti, gentilissimi e simpaticissimi, sono due finanzieri svizzeri che 20 anni fa avevano 25 anni ed oggi ne hanno 45. L’abitato è sovrastato dall’impressionante e strapiombante parete della Sentinella che, come dice Messner, prima o poi seppellirà il paese e in valle tornerà il mare.
La parete e sue caratteristiche.
Pala di Gondo
Esposizione: wow,wow,wow!!!!
Chiodatura: wow,wow,urca!
Roccia: wowwww,woowww!!!!!!!!!!!!!!!!
Parcheggio: wow,wow,wow
Zona pic-nic: wow,wow,wow,wow,wow
Possibilità per famiglie con bambini: wow
(non sono capace di disegnare i simboletti tipo sole, bicipitino, etc.etc..)
La relazione di ICOSS.
Itinerario dall’arrampicata varia (ma va?), con prevalenza di placca. Roccia ottima su tutti i tiri, attenzione a qualche evidente blocco nella seconda parte della settima e 15esima lunghezza.
Riattrezzata con fix inox da 10mm e 8mm (circa 85 fix da 10mm e 50 da 8mm).
Sono stati tolti quasi tutti i chiodi normali, i microspit e l’unico spit piantato a mano in quindici minuti di equilibrismo mono piede (record mondiale di apnea –se scoprite dov’è contattatemi che pago una pizza). In alcune lunghezze sono rimasti fix da 8mm piantati nel corso dell’apertura (controllati e in ottimo stato) ed alcuni buoni chiodi (così definiti quelli che non siamo riusciti a togliere).
Soste con 2 o 3 fix (se volete aggiungerne si possono attrezzare le soste da gruppo o grappolo). Possibilità di calata in doppia da tutte le soste; dalla S 16 conviene scendere lungo “Tacchi a spillo”. Le doppie su ICOSS dalla S 16 alla S 14 sono abbastanza macchinose, diagonali con pendoli, quindi praticabili solo da scalatori con la S maiuscola e non da improvvisati e farlocchi climbers (corde da 55 mt consigliate vivamente).
Per scalare la via innanzitutto bisogna trovare l’attacco: ci sono tre scritte “ICOSS” artisticamente incise sul grigio granito. Una è quella giusta. Un’altra porta allo zoccolo erboso, infido e pericoloso, da risalire con la fissa. Risalita che ora risulta alquanto problematica perché ho tolto la fissa. Se trovate la terza scritta tornatevene a casa che l’è mei.
Trovato l’attacco, se collegate nella giusta sequenza le soste dalla S 1 alla S 19 significa che avete fatto la via e siete bravi, se poi non vi attaccate neanche ad un fix siete veramente fighi.
Le difficoltà: nel corso dell’apertura la difficoltà massima raggiunta e superata in arrampicata libera e a mani nude è stata attorno ad un grado approssimativamente valutabile tra il 6b ed il 6c, anche se la valutazione durante l’apertura è sempre difficile da fare ed è troppo soggetta alle capacità tecniche individuali ed anche allo stato psicoemotivo dell’arrampicatore in quanto, si potrebbe affermare con buona approssimazione che, dato per scontato tutto, il tutto è terribilmente problematico poterlo dimostrare, anzi, impossibile, dovendo basarsi su affermazioni del soggetto agente che in quella circostanza era perfettamente incapace di intendere e volere. Tutto ciò che stà attorno a quel grado è stato superato con una esasperante ed esaltante lotta tra bolt, cliff and knife und blade.
La quantità di chiodi piantati nel corso dell’apertura di questo itinerario è tanta come i chilometri di corde fisse usate per collegare le soste in parete alla Locanda Hollander di Varzo (ottima pizza con forno a legna).
I tiri, tiro per tiro:
L1 5c - 9fix - S 1 - 2fix - 50 mt
L2 trav. a sinistra su cengia erbosa S 2 - 2fix - 25 mt
L3 5b - 4fix - S 3 – 2fix - 27mt
L4 6a - 7fix+1ch S 4 – 3fix - 30 mt
L5 5c - 5fix+1ch S 5 – 3fix - 25 mt
L6 6b+ - 7fix+1ch S 6 – 3fix - 30 mt
L7 6c+ - 10fix+1ch S 7 – 3fix - 35 mt
L8 6b+ - 9fix S 8 – 2fix - 27 mt
L9 6b - 6fix S 9 – 3fix - 25 mt
L10 7b (6c/A1) 12fix S 10- 3fix - 30 mt
L11 6b - 6fix S 11- 3fix - 20 mt
L12 7b+(6b/A1) 13fix S 12- 3fix - 27 mt
L13 6b+ 6fix+2ch S 13- 3fix - 25 mt
L14 7a(6b+/A0) 12fix S 14- 3fix - 35 mt
L15 6a 6fix S 15- 2fix - 35 mt
L16 6a 11fix S 16- 2fix - 50 mt (in comune con Tacchi a Spillo)
L17 7a(6b/A0) S 17- 2fix Tacchi a Spillo
L18 6b+ S 18 – 2fix Tacchi a Spillo o Paleari
L19 6a S 16 – FINE Tacchi a Spillo o Paleari
Nella 16° lunghezza, a circa 35 mt c’è una sosta intermedia attrezzata con 2 fix e porta bicchiere.
Lo sviluppo della via è di circa 500 mt. metro più metro meno, fino alla S 16, poi ancora 80/90 metri fino al termine.
Lo schizzo allegato manca della parte bassa: non è perché mi manca il grandangolo della macchina foto ma appositamente fatto per rendere più avventurosa la ricerca dell’attacco.
Materiale utile.
Da portare appeso all’imbragatura.
14 rinvii, cordini e qualche moschettone libero per allungare i rinvii in alcuni tiri perché, come dicono i tecnici, la via gira molto. Attrezzatura da doppia (in quanto non riuscite a finirla) e se siete abbastanza ricchi, con due camalot del 1 e 1,5 ed uno del 3 dovreste riuscire a portarvi a casa il settimo tiro ed il decimo tiro. Per il dodicesimo portatevi tutto quello che volete tanto finirete per fare una tirata di fix. Con un camalot del 4 ed una buona dose di conigliaggine potreste anche riuscire a rinviare tra i ravvicinati fix della fessura al 13esimo tiro: a questo punto portatevi il trapano e chiudetela lì.
Note e curiosità
Ad oggi la via è stata ripetuta fino alla S 13 da un fortissimo e libero climber, che non vuol dire free climber, del quale vi dico solo le iniziali (U.P.), che con un compagno ha tentato di liberare la via che libera era prima ed ora non lo è più. La valutazione di U.P. che non ha fatto i tiri duri R.P. è poco indicativa in quanto U.P. è fortissimo. In ogni caso la salita non può essere omologata in quanto a Gondo, come risaputo, le vie devono essere fatte interamente in libera dalla macchina parcheggiata alla macchina parcheggiata. Se vi appoggiate al guard rail per scavalcarlo già vi siete giocati la prima libera come ve la giocate anche se, scendendo in doppia, vi appendete al discensore. Non vale! Le regole sono regole!
Per quanto riguarda la chiodatura, nel corso della richiodatura si sono sistematicamente sostituiti i chiodi tradizionali con i fix ed in alcuni casi la distanza tra le protezioni è stata accorciata, soprattutto nelle prime sei lunghezze che hanno avuto, durante l’apertura, dei run out accolti dal folto pubblico presente al secondo tornante con ovazioni, standing ovation e lanci di razzi RPG.
Comunque nei tratti più facili dei primi sei tiri la distanza massima tra i fix è di 6 m. se non ricordo male. Dopo, corti come in falesia, riallungati nel 14 e 15 tiro. Attenzione alla S9 perché la moquette non si è incollata bene.
La relazione di cui sopra (standard per le guide di nuova generazione) è ovviamente a uso e consumo dei destinatari. Essendo coperta dal vincolo di segretezza, nessuno, dico nessuno al di fuori di voi che state leggendo in questo momento dovrà venire in possesso del contenuto della stessa ed ogni altro uso e divulgazione della relazione sarà considerata un affronto nei confronti del sottoscritto che ve la farà pagare, e cara. Se poi vi portate la relazione in parete vi assumete totalmente la responsabilità della vostra iniziativa.
Per finire, dal sottoscritto e dal degno compare Antonio, un saluto ed un abbraccio a tutti voi, che se aspettate ancora un po', potrete tentare la prima libera invernale di ICOSS alla Pala di Gondo.
A.A. e A.C.
Nota di servizio: tra dieci anni la via verrà richiodata e tutte le ripetizioni precedenti tale data saranno annullate d’ufficio, quindi, che ci andate a fa. E via che si riparte!
Parte seconda.
Le “serie riflessioni”
Ovvero, la Storia dell’arrampicata nelle Gole di Gondo di Andrea e Antonio, interpretata, riveduta e corretta più volte dagli stessi.
PALASTORY
E’ una storia sospesa, una storia inventata? Forse una storia sbagliata? Di certo la nostra storia.
Sappiamo benissimo, tutti, che ci sono posti per arrampicare più belli delle Gole di Gondo. Gondo ha pareti dritte, scure e strapiombanti che incombono su una strada che a volte sembra il Nurburbring con la chicane del II° tornante disegnata apposta per farla tutta in derapage. Svizzeri in discesa a manetta che trecento metri prima di Gondo frenano, terza, seconda e a 40 Km all’ora passano tranquilli davanti ai doganieri. Svizzeri in salita, che appena fuori dalla visuale dei doganieri, seconda terza e via manetta per godersi i due tornanti tra stridii di gomme e odori di frizioni. Vero wilderness, natura selvaggia. Comunque in campana, i doganieri svizzeri sono coscienziosi e vigilano silenziosi e discreti.
1995, agosto. Uno degli ultimi giorni di permanenza in parete. Bivacco, notte, ad un certo punto luce abbagliante, porca miseria, già giorno che ci tocca arrampicare e abbiamo le mani ancora doloranti.
Porcaccia la miseria, sono solo le due di notte, ma chi cavolo c’è lì sotto: lì, sotto trecentocinquanta metri, al parcheggio del II tornante, c’è una camionetta militare con fotoelettrica da contraerea che ci sta puntando e, che culo, ci ha preso in pieno. Manca solo che puntino un razzo e ci tirino giù.
I doganieri, avendo notato una macchina ferma al secondo tonante da qualche giorno e senza nessuno a bordo, dopo una meticolosa indagine supportata dal fatto che tutti i giorni c’era un sospetto caos ai due tornanti, neanche un buco per parcheggiare, gente che guardava all’insù verso la Pala, hanno realizzato che forse i proprietari della macchina erano i soggetti in parete e sono venuti a controllare. Alle due di notte.
Accenniamo un cenno di saluto e accendiamo una sigaretta.
1984, settembre. Parete della Sentinella, via Fuga Diagonale. Pochi soldi, dove andiamo a dormire? Ovvio, in galleria. Passato il secondo tornante, prima di una lunga galleria, sulla sinistra c’è l’accesso ad un tratto della vecchia strada del Sempione in disuso. Entriamo nella galleria, parcheggiamo, tiriamo fuori i materassini, li stendiamo davanti alla macchina e ci infiliamo nei sacchi a pelo. Piena notte, rumore di macchina e ci troviamo davanti un militare o doganiere con frontalino che ci illumina. Poi se ne và e ci rimettiamo a dormire. Pensa un po' che strana gente.
Controllo del territorio. Quando la mattina ci svegliamo e c’è un poco di luce ci accorgiamo che stavamo dormendo proprio davanti a qualcosa che assomigliava all’ingresso di un rifugio antiatomico o di una base militare segreta. Avete presente quei portelli rotondi d’acciaio tipo caveau di banca, proprio così.
Oh, ovunque vai, a Gondo c’è sempre qualcuno che ti controlla. Adesso davanti all’accesso di quella galleria hanno messo due blocchi di cemento. Addio campeggio al coperto.
Quindi, riassumendo, pareti oscure, strada, doganieri come funghi. Proprio un bel posto.
1983 agosto. Campeggio “La Sorgente” in Val Veny, Mont Blanc, storico ritrovo estivo degli eroici istruttori della Parravicini, gloriosa scuola del CAI Milano, nella quale ero entrato da qualche anno. Appena dopo ferragosto, sono quasi venti giorni che stò lì insieme ad una allegra compagnia e da qualche giorno il tempo si è guastato e piove spesso. Ci stiamo un poco rompendo. Oramai i problemi di boulder sui sassi del campeggio li avevo tutti risolti, che era poi il motivo per cui facevo le ferie in quel campeggio, vie sul Bianco ne avevo fatte un paio, più che sufficienti, sono veramente stancanti, per cui stiamo passando il tempo cibandoci e leggendo. Guide di arrampicata, ovvio.
Mi girava tra le mani uno Scandere e la guida tascabile “Cento nuovi mattini”, insuperata alla pari del “Gioco Arrampicata della Val di mello”. Su Scandere c’era un articolo di Alberto Paleari che parlava delle Gole di Gondo. Su “Cento nuovi mattini” c’era la relazione della via “RondiniSanguinarie” alla Sentinella, sempre a Gondo.
Le descrizioni ci affascinano, discutiamo un poco e decidiamo di andare a vedere il posto. Sbaracchiamo tutto. Un giorno di duro lavoro: tenda a casetta, veranda, brande, cucina da campo, materiale sparso ovunque, un casino e poi i trenta vuoti di bottiglia che servivano al posto dei sassi per tenere a terra il telo esterno della tenda.
Io e mio fratello riempiamo la Fiesta, Antonio la sua Peugeot furgonata, con Daniele. Torniamo a Milano, scarichiamo tutto e due giorni dopo siamo a Gondo. Lele e Daniele sono già abituali compagni di arrampicata, con Antonio è la prima volta che arrampichiamo insieme ed è l’inizio di una lunga avventura.
Destinazione: Rondini sanguinarie, via storica della Sentinella, aperta da Paleari e Rossi. Saliamo il canale sotto lo spigolo strapiombante che delimita la parete e traversiamo alla base cercando il masso con crocetta rossa che rappresenta l’attacco della via.
Nel percorrere questo breve tratto di sentiero alla base della parete ci successe sicuramente qualcosa di strano, a tutti, ma in modo articolare a me e Antonio. Con il naso all’insù, rapiti da fessure, placche, diedri e tetti, ci siamo fermati, ci siamo domandati “dove stiamo andando?” e quasi automaticamente, come in ipnosi, abbiamo deciso di iniziare ad arrampicare seguendo istintivamente fessure e diedri, così, per gioco ed emozionati per esserci d’improvviso trovati a far parte dei grandi scalatori che aprono vie nuove. Comprammo successivamente il “Manuale del buon apritore”.
E il materiale? Eravamo partiti per ripetere una via per cui si può pensare che avessimo il materiale giusto da ripetizione, rinvii e qualche stoppers; nessun problema, abitualmente ci portavamo dietro set completo di chiodi, dadi, friends e staffe ed all’imbrago era sempre agganciato un fantastico fiffi scorrevole.
Siamo chiaramente dei fulmini, arrampicatoriamente parlando. Dopo quel primo approccio torniamo gasatissimi ed il risultato è “Rompighiaccio”. Simbolico nome dal duplice significato.
Obiettivamente una fantastica arrampicata tra diedri e fessure, stile granito classico, atletica e un po' rude, con un giro sotto la prua strapiombante dello spigolo per tornare, con un lungo ed aereo traverso sotto i tetti sommitali, ad agganciarsi all’ultimo tiro di Rondini Sanguinarie.
Al termine della via, come indicato nel sopracitato “Manuale” nel capitolo finale “Ricomposizione dello zaino”, tutto il materiale fu ordinatamente depositato a terra e immortalato come nelle famose foto Yosemitiane di Robbins, Harding & Co., con le mani incerottate che compaiono sul margine, ad imperitura testimonianza del duro lavoro svolto negli incastri in fessura.
La via, per noi estrema, oggi è la via facile della Sentinella. Come cambiano i tempi!
Da quella esperienza, la prima cosa che capimmo fu che i nostri margini di miglioramento erano amplissimi. Da quella volta, io e Antonio ritornammo sempre in quel di Gondo, a volte accompagnati, spesso da soli. In quelle tante volte riuscimmo a combinare cose discrete, almeno penso così. Comunque, e qui sta il succo della spremuta, ci siamo sempre divertiti un mondo senza dover render conto a nessuno di ciò che combinavamo. Avete presente quando un bambino scopre l’angolo segreto di un giardino o della propria casa e lo fa diventare il luogo segreto dove inventarsi grandi ed eroiche avventure, sulla tolda di un vascello di pirati all’inseguimento di un galeone inglese carico d’oro o in sella ad un cavallo inseguito dall’intera tribù dei Sioux? (ovviamente uscendone sempre vincitore). Ecco, questa è tutta la nostra storia a Gondo. Per cui, banalmente, Gondo è il più bel posto che ci sia. Punto.
Gondo è una terra di mezzo, né carne né pesce. Siamo noi che l’abbiamo reso fantastico, per noi.
Altrimenti può essere un posto dove seri, duri e decisi arrampicatori/trici possono fare belle, serie e dure arrampicate come ce ne sono tante in giro per le Alpi.
1985, agosto. Fuga Diagonale. Quinto tiro, inizio dei grandi traversi verso destra. La situazione che si presenterebbe agli occhi di uno spettatore sarebbe questa:
- Arrampicatore incrodato da 15 minuti su placca verticale sopra bordo di tetto che osserva preoccupato una fessura due metri sopra (se solo avesse avuto un briciolo in più di margine l’avrebbe già raggiunta ma in quel momento ha altro cui pensare);
- Corda che dall’imbrago parte in orizzontale per 6 o 7 metri, rinvio in un knife blade terapeutico piantato in una scaglia armonica;
- Corda che prosegue in orizzontale girando uno spigoletto per altri quattro cinque metri, rinvio in due lost arrow accoppiati piantati dal basso verso l’alto in una fessura (buona). Altri tre quattro metri orizzontali, friends e stopper e poi in verticale 10 metri sotto, lungo una fessura nera strapiombante, fino ad altro arrampicatore in sosta.
Flash del potenziale volo ipotizzando che solo il primo chiodo salti via (ipotesi certa): il più lungo pendolo da pirla mai avvenuto, con conseguenze psicologiche devastanti.
Soluzione del problema: l’arrampicatore in sosta estrae il “Manuale…” e legge al capitolo 7 intitolato “Gestione dell’incrodamento”: prendete un copper head, spiattellatelo alla bell’e meglio sulla roccia, agganciatevi una staffa, saliteci sopra delicatamente e velocemente toglietevi dalle palle. Detto, fatto.
L’arrampicatore incrodato spalma un copper head in una leggera crespatura della roccia, aggancia una staffa, prende un chiodo angolare e lo mette tra i denti, con una mano regge il martello. Inizia a rimontare i gradini della staffa fino al penultimo in uno stato di semi incoscienza, raggiunge la fessura, inserisce il chiodo, tira tre martellate, infila un rinvio e si accascia piangendo sullo stesso.
Problema risolto brillantemente.
Gondo è un posto di confine. Un porto franco dell’arrampicata. Ed è questo il bello.
Ci arrampichi con le tue regole e come sei capace di fare. Ci sono vie interamente da proteggere, vie interamente spittate, vie miste, c’è di tutto e tutto fa parte della storia del posto. Hanno aperto vie famosi e forti arrampicatori e arrampicatori poco famosi che pensavano di essere fortissimi. Questioni etiche? Ognuno risponde a se stesso. Un chiodo in meno, spit si o spit no? Questioni personali. Hai scavato una tacca? Problemi tuoi.
Ah, dimenticavo, a Gondo ci sono pure le falesie ed i blocchi.
Una volta, storia di tanti anni fa, a Gondo c’era la falesia più bella del mondo. Balmanolesca: piccolo laboratorio professionale dell’incastro che ora ha quasi chiuso lasciando nella disperazione tanti onesti piccoli artigiani che ora non sanno più dove andare a trovare quelle soluzioni ranto utili per il loro lavoro e che solo Balma sapeva fornire. Posso piangere ma non certo incavolarmi: quando hanno iniziato a rovesciarci sopra montagne di terra e sassi non ho mandato neanche una mail di protesta e non mi sono incatenato al primo spit di Re Azul per cui piango in silenzio constatando quanto, dal punto di vista di un climber, gli amministratori locali siano degli illuminati gestori del territorio.
Purtroppo, spero di sbagliarmi, al termine di chissà quali lavori, il ripristino di quel piccolo angolo non avverrà. Prima o poi ci ritroveremo un distributore di benzina oppure la falesia verrà appaltata a qualche cavatore ossolano che ne farà tante pietruzze e lose perché la casa con pietra a vista tira un casino. Per carità, le cave di pietra fanno parte della cultura ed economia di tante valli alpine, ma possibile che nel terzo millennio non ci sia un posto dove vengano gestite in maniera intelligente? Almeno quando vengono dismesse! Invece no! L’impresa se ne va e lascia li tutto, cavi tralicci, compressori e tutto ciò non più riutilizzabile.
Vero è, anche e purtroppo, che la “maniera intelligente” non è richiesta tra le competenze dei nostri amministratori locali.
Vero è, pure, che le cave di pietra con il tempo diventano parte integrante della natura e se i tagli sono ben fatti, gli spigoli ben rifiniti e l’edera ben curata sono anche esteticamente gradevoli da osservare. Magari poi ci scappa anche la falesietta da costellare di fix.
Alberto Paleari, grande arrampicatore, anima dell’arrampicata a Gondo, e, per me, fantasioso ironico scanzonato scrittore di cose di montagna, in suo articolo (chiedo venia, non ricordo dove è stato pubblicato ma giuro di averlo letto) ha descritto e denunciato come le cave ossolane abbiano cambiato i connotati della valle e continuino a produrre scempi naturali.
Purtroppo Balma non è il masso Kosterlitz e neppure la cascata del Ferro e il movimento “Climbers dell’Ossola Uniti” non esiste ancora.
Ritornando alle falesie, attenzione che alcuni tiri sono magnesati, quindi, il grado è farlocco; quindi, è inutile che poi andate in giro dicendo che avete fatto un 7b. Le regole ci stanno mica per niente.
Per quanto riguarda i blocchi, quello più bello da scalare lo trovate sulla cengia della Sentinella sopra il grande diedro. Sul bordo della cengia. La partenza è ovviamente sit ed i paratori con crash devono mettersi alla base del diedro, 150 metri sotto.
A Gondo si sta bene perché veramente fai ciò che ti piace, come ti piace e tutto viene apprezzato senza sindacazioni. Penso che l’arrampicata sia ancora uno dei pochi spazi liberi dove muoversi e che così debba restare il più possibile.
Ci sono stati, e ogni tanto ritornano, tentativi di far entrare “regole”, decaloghi di comportamento all’interno del mondo arrampicata. Spesso impostazioni etiche personali di singoli o gruppi di scalatori che vogliono imporle come regole. Sicuramente persone in buona fede e infervorati dalla passione. Se poi le “regole” sono rivestite di connotazioni ambientalistiche, di ecocompatibilità, bè ragazzi, qui siamo al tentativo di plagio. Si perde il contatto con la reale portata della questione cadendo nel ridicolo. Per fortuna il mondo dell’arrampicata ha ancora dei buoni anticorpi e sopporta bene tutto ciò. Si parla, si discute, ci si infervora in accanite discussione, e ci sta più che bene, anzi sarebbe grave non ci fossero, poi come mi pare sia sempre avvenuto, il tempo e l’inconsapevole auto-responsabilità della maggior parte degli arrampicatori risolve gli amletici dubbi di pochi nel modo migliore. E’ vero, tra gli arrampicatori, per dirla alla Jannacci, ci sono “quelli che” …quando sono da soli fanno sempre due gradi in più, quelli che… si illudono che il loro attributo sia più grande quanto più piccola la tacca che tirano… che poi spesso sono quelli che… si autoelevano a paladini dell’etica, e naturalmente non mancano mai quelli… pirla che schiodano e quelli che…le rocce di casa loro pensano siano cosa loro: ci stanno bene tutti nel pentolone, fanno parte del gioco. Quando si impegnano, a noi poveri climbers triturano veramente i cosiddetti anche se, ad onor del vero, non fanno danni catastrofici ed in genere non danno neanche particolare fastidio al mondo.
Scusate questa scivolata in corner ma, quando con Antonio abbiamo deciso di riattrezzare a fix la via ICOSS sulla Pala di Gondo, siamo caduti anche noi nel terribile dilemma. Anzi: ognuno è caduto nel proprio dilemma, non ne abbiamo discusso ed alla fine abbiamo risolto brillantemente il problema considerando situazioni già applicate nel mondo dell’arrampicata.
Schiodiamo interamente la via lasciando agli eventuali ripetitori una tela intonsa su cui reinventarsi la salita ogni volta. L’iniziativa è sicuramente ad impatto ambientale nullo, eticamente inattaccabile e apprezzata sicuramente da qualche forte arrampicatore che sicuramente ha altro da pensare che andare a Gondo.
Richiodiamo tutta la via a fix rendendo l’originale salita una piacevole via moderna. Questa seconda opzione è sicuramente ad impatto ambientale devastante, immaginate un centinaio di fix inox infissi in parete; eticamente discutibile, è stata tolta la libertà ad alcuni arrampicatori di salire magari liberamente dove abbiamo fatto dell’artificiale, per fare un esempio; sicuramente apprezzata da tanti arrampicatori.
Schiodiamo o richiodiamo? Richiodiamo. D’altro canto, la via l’abbiamo aperta noi e, come ogni grande artista che si rispetti, che può ritoccare la sua opera, può distruggerla, o cambiarne i connotati, così abbiamo fatto. Notevole il paragone, eh? Oltretutto, in questo modo, tutto quello che abbiamo fatto quando l’abbiamo aperta non lo saprà mai nessuno. Ciapa li..e tira.
Ora ICOSS è diversa dalla via aperta dieci anni fa e magari tra dieci anni la cambieremo ancora. Sono questioni nostre. Andate a farla e divertitevi.
Noi, a Gondo, abbiamo ancora qualche programmino simpatico e divertente. Magari ci si incrocia a qualche sosta e alè alè che si và.
2004, agosto. ICOSS. Dopo un paio di giorni che stiamo richiodando la via salendo i tiri ovviamente dal basso, organizziamo un breefing volante e prendiamo la decisione più logica: caliamoci dall’alto che si fa molta fatica in meno e così il sottoscritto evita di farsela sotto rifacendo i tiri con la chiodatura originale.
Avete presente cosa vuol dire raggiungere l’uscita della Paleari da sopra e calarsi? Ve lo racconto.
Non sono tanto le tre/quattro ore che ci vogliono per arrivarci perché in questo tempo si passa in posti veramente incantevoli: l’alpeggio di Figina, il grande bosco pianeggiante; si ha tempo per pensare, riconsiderare alcuni aspetti della propria vita, vedere un gallo forcello partire rasoterra da sotto un cespuglio, fare quattro chiacchere (se conoscete il dialetto di Briga) con il gentilissimo eremita proprietario della baita a Figina, contentissimo di vedere qualcuno con cui parlare ed a cui offrire formaggio, nescafè e grappa (alle 8.30 di mattina) e se non si conosce il dialetto di Briga, sorridere, annuire, mangiare formaggio e bere nescafè e grappa alle 8.30 di mattina.
Non sono tanto quei trecento metri di discesa su rododendri verticali e salti di roccia, seguendo le tracce dei camosci, che portano sul bordo della parete dove abbiamo urlato dalla gioia quando finalmente abbiamo trovato il cordino di calata legato su un albero all’uscita della Paleari.
Non sono tanto quei 25 chili di zaino che ci siamo portati in spalla.
Tutto si trasforma in vivida realtà quando, usciti dal mondo fantastico che ci si è creato durante l’avvicinamento, lucidamente, si inizia a realizzare che si è arrivati sin qui per calarsi in doppia. E’ in questo preciso istante che lo sconforto prende il sopravvento. E’ sufficiente sporgersi un attimo dal bordo della parete per avere un immediato calo di pressione con accelerazione cardiaca.
Un conto è fare una via e calarsi: a quel punto è tutto il giorno che siete nel fantastico mondo verticale e la ghiandola natatoria si è stabilizzata. Altro conto è fare una passeggiata ed arrivare sul bordo del precipizio: Antonio è seduto, immobile, tutta l’attrezzatura indossata ed una espressione attonita in volto dal significato chiarissimo.. “perché devo far questo…”; il sottoscritto glissa su cosa è intento a fare in quei momenti.
Comunque, bando alle ciance, visto che siamo adulti, che abbiamo scelto noi, liberamente, senza costrizioni da alcuno, di essere lì, non meniamocela troppo e giù, con triplo machard e 18 nodi in fondo alle corde.
Ho terminato. Concedetemi solo ancora due minuti per i consueti ringraziamenti di rito.
Primo: alla mia bella….ops , rifo:
Primo: alla Val Divedro. Gondo non è solo roccia, placche e fessure. Bisogna girare per i sentieri sopra le pareti per rendersene conto e scoprire un volto diverso della valle. Vera natura selvaggia dove la presenza dell’umano è ancora rara e quando c’è, estremamente discreta. Se poi è un finanziere svizzero mimetizzato da fungo porcino in azione di controllo del territorio, state certi che ci passate accanto senza accorgervi di nulla. Non coglietelo.
Secondo: agli arrampicatori ossolani. Ne ho conosciuti veramente pochi ma tutti simpatici, disponibili e aperti.
Terzo: a tutti quelli che, ancora meno degli arrampicatori ossolani conosciuti, sono riuscito a coinvolgere in mirabolanti avventure e che non fanno che ringraziarmi dalla fatidica e unica volta;
Quarto: non ce ne sarebbe bisogno, ma legato all’altro capo della corda c’è sempre stato e c’è, quando non è in giro per il mondo alla ricerca dell’oro, Antonio Castiglioni. Così ho detto tutto.
Sentitamente vostro.
Andrea Affaticati
(letto, approvato e sottoscritto da Antonio Castiglioni)